(Foto di Giuseppe Massa) |
venerdì 25 marzo 2016
sabato 12 marzo 2016
Intervista a Stefano Peres
Stefano
Peres, frattalista per passione
Di Colloredo di Monte Albano, in
provincia di Udine, Stefano Peres si è interessato alla pittura da sempre.
“Mio
padre collezionava quadri di artisti che conosceva e ho avuto modo di visitare
anche i luoghi dove essi operavano”, tiene a precisare.
“Quando hai iniziato ad esporre?”.
“Ho
iniziato nel ’92, con quadri di piccolo formato, in una collettiva organizzata
dal centro culturale I Contemporanei
ed ho partecipato a varie manifestazioni. Nel ’99 Pier Mario Ciani mi fece
fare però una mia personale a Udine”.
“Cosa significa per te creare?”.
“Creo
per hobby. Esprimermi con il colore per me è sicuramente più congeniale che
rivelarmi con le parole. Prendo sempre l’ispirazione da qualcosa che accade,
ricercando l’armonia tra le cose che mi circondano e me stesso. Un desiderio di
certezze che mi porta ad essere affascinato dalle macchie, che formano giochi
di ombre e luci e da certe spaccature dei frattali, che tendo a comporre in
insiemi che mi diano, attraverso la loro illusione, qualcosa di tangibile (visi,
occhi, animali, nuvole, ecc…) Nella formazione di un frattale inoltre, tento di trasfondere il senso ‘magico’ che mi
aveva originariamente colpito, in modo che il fruitore possa a sua volta
scoprire (svelare) il mio intento”.
“Quali colori utilizzi?”.
“Uso
colori acrilici. Il colore che mi piace molto è il blu avio, ma spesso uso
colori scuri. Mi piace studiare la casualità dei frattali perché ritengo che l'arte
stia proprio nell'interpretazione”.
“Cosa ti ispira maggiormente?”.
“Mi
ispirano innanzitutto la curiosità e la voglia di provare a vedere cosa viene
fuori dalla casualità dei colori. Il quadro, infatti, cambia in base al clima;
non esce mai la stessa figura!”
“Il colore della felicità?”.
“La
felicità, secondo me, la puoi trovare in qualsiasi colore. Basta saper cogliere
le sfumature. Il giallo però, trovo che sia un colore molto armonioso e luminoso".
“C’è stato un avvenimento che hai
vissuto e che ti ha segnato”.
“Sì,
la sera del 6 maggio del ’76, quando avevo appena 11 anni, mentre mi trovavo
a casa e guardavo la TV, mia madre
si è rivolta ai clienti del bar, dicendo
loro di aver sentito tremare la terra.
Qualcuno rispose che forse si trattava di un grosso incidente in strada.
Ma niente. Purtroppo dopo, la seconda scossa che
ha provocato 989 morti. Mi sono ritrovato sotto il
tetto della mia abitazione, e la caviglia destra fratturata.
Estratto dalle macerie, mi portarono all’ospedale di Udine, dove sopraggiungevano
persone di continuo e, nella confusione, operandomi,
mi hanno lasciato un pezzo di stoffa
del calzino, nella ferita. Per 15 gg.
mi pulivano l’infezione che si formava
continuamente, ma alla fine i medici
avevano deciso di tagliarmi il piede, senza
dirmi nulla. Fortunatamente, mentre me lo
stavano amputando, si sono accorti che
la causa dell’infezione era dovuta al pezzo
di stoffa dimenticata all’interno. A mia
madre il dottore disse che l’errore
fu suo e per colpa di questo,
la gamba dal ginocchio in giù non
sarebbe cresciuta più e così avvenne,
dicendole anche che avrebbe compreso se
l’avessero denunciato, ma i miei genitori
non lo fecero, perché compresero che nel caos provocato
dal terremoto, poteva succedere di sbagliare!”.
“Come mai hai incontrato Cossiga?”.
“Il Ministro degli Interni in quel
periodo, era il futuro Presidente della
Repubblica Cossiga che avevo visto solo in
televisione. Per questo rimasi molto stupito
quando, all’Ospedale di Udine, sono
arrivati in visita Francesco Cossiga e Aldo
Moro. È possibile che fuori piovesse
forte quel giorno perché il mio primo
ricordo di quei due, dal mio letto
d’ospedale, è quello dei loro impermeabili
fradici e della piccola pozzanghera che si
era formata immediatamente sotto la punta
dell’ombrello. L’allora ministro Cossiga, prima
dell’intervento (mentre Aldo Moro parlava
con un ragazzo di Osoppo), sarà rimasto
a confortarmi per più di 1 ora
e mezza, cercando di convincermi che
l’intervento non mi avrebbe fatto male.
Mi spiegò a lungo come i medici
avrebbero agito, infatti andò tutto bene ed otto anni dopo
Cossiga volle incontrarmi di nuovo.”
“Hai anche coniato un termine, vero?”.
“Sì,
ho partecipato ad un gioco/contest indetto dalla famosa Enciclopedia Treccani
che invita i lettori a coniare nuovi termini. Il mio ‘balzeccare’, ovvero azzeccare al balzo”.
Dunque un artista, Stefano Peres, dalle
molteplici risorse. Per avere un’idea dei suoi frattali, il link da visitare:
Elly
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