Dall’Oriente all’Occidente, Paolo Imperio e la sua scrittura
Un grande interesse
per l’Oriente, quello di Paolo Imperio, tanto da avvicinarlo alla scrittura.
“Leggevo, leggevo qualsiasi cosa parlasse di
India e soprattutto ascoltavo musica indiana”, con uno sguardo rivolto al
passato…
“Come mai questo
interesse verso l’India?”.
“Perché mi sembrava un mondo diverso, dove
pace, armonia e saggezza, davano l’idea di una possibile alternativa
all’insostenibile quotidianità da cui mi sentivo estraneo, quasi fossi un
figlio minore di Camus”.
“Quale il tuo
primo scritto?”.
“Scrissi, quando ero ancora uno studente
universitario, un saggio La musica
indiana (Nuovi Editore), ristampato con il titolo di Introduzione alla musica indiana (Edizioni Contributi Scientifici).
Un saggio breve in cui raccolsi tutto quanto ero riuscito a sapere sulla musica
indiana. Inoltre, in seguito, fondai e diressi anche un bimestrale India”.
“Ma oltre l’Oriente
Paolo, il tuo sguardo si è mai posato altrove?”.
“Sì, presto scoprii che una possibile
alternativa offerta dall’Oriente, più che in un altrove, andava cercata nel
presente. Il mio interesse si estese al resto dell’Asia e la mia scrittura
divenne scrittura di traduttore”.
“Quindi da
compositore a traduttore, come mai?”.
“La traduzione de Lo Zen passo per passo, di Taisen Deshimaru
(Astrolabio, 1981), mi insegnò a cercare l’alternativa attraverso
l’introspezione e la meditazione, che ebbi modo di praticare già durante i miei
anni universitari”.
“E
l’Occidente?”.
“Alcune curiose somiglianze, studiate
comparando i sentieri di liberazione proposti dalle varie tradizioni
spirituali, contribuirono ad allargare ulteriormente il mio Oriente, fino a
comprendere l’Occidente. La traduzione di Aspetti
dell’Alchimia tradizionale di
René Alleau (Ananòr, 1989), mi fece conoscere un percorso di trasformazione,
celato in una simbologia stupefacente”.
“Una traduzione
che più ricordi?”.
“ La traduzione o meglio riscrittura che più
di tutte mi ha permesso di riflettere, è stata La lingua degli uccelli di Farid Ad-Din Attar (Edizioni
Mediterranee, 2002). La soave bellezza della poesia persiana, con il suo
delicato misticismo contemplativo, mi ha posto di fronte all’intraducibilità di
certe riflessioni orientali, se non attraverso lo sforzo di comprensione e
riscrittura di immagini in grado di fare entrare in rifrazione la mentalità del
lettore del secolo, riportando l’immaginazione presente alle contemplazioni del passato, annullando lo spazio tempo”.
ellybetta
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