lunedì 21 luglio 2014

intervista a Paolo Imperio

Dall’Oriente all’Occidente, Paolo Imperio e la sua scrittura

Un grande interesse per l’Oriente, quello di Paolo Imperio, tanto da avvicinarlo alla scrittura.
Leggevo, leggevo qualsiasi cosa parlasse di India e soprattutto ascoltavo musica indiana”, con uno sguardo rivolto al passato…
“Come mai questo interesse verso l’India?”.
Perché mi sembrava un mondo diverso, dove pace, armonia e saggezza, davano l’idea di una possibile alternativa all’insostenibile quotidianità da cui mi sentivo estraneo, quasi fossi un figlio minore di Camus”.
“Quale il tuo primo scritto?”.
Scrissi, quando ero ancora uno studente universitario, un saggio La musica indiana (Nuovi Editore), ristampato con il titolo di Introduzione alla musica indiana (Edizioni Contributi Scientifici). Un saggio breve in cui raccolsi tutto quanto ero riuscito a sapere sulla musica indiana. Inoltre, in seguito, fondai e diressi anche un bimestrale India”.
“Ma oltre l’Oriente Paolo, il tuo sguardo si è mai posato altrove?”.
Sì, presto scoprii che una possibile alternativa offerta dall’Oriente, più che in un altrove, andava cercata nel presente. Il mio interesse si estese al resto dell’Asia e la mia scrittura divenne scrittura di traduttore”.
“Quindi da compositore a traduttore, come mai?”.
La traduzione de Lo Zen passo per passo, di Taisen Deshimaru (Astrolabio, 1981), mi insegnò a cercare l’alternativa attraverso l’introspezione e la meditazione, che ebbi modo di praticare già durante i miei anni universitari”.
“E l’Occidente?”.
Alcune curiose somiglianze, studiate comparando i sentieri di liberazione proposti dalle varie tradizioni spirituali, contribuirono ad allargare ulteriormente il mio Oriente, fino a comprendere l’Occidente. La traduzione di Aspetti dell’Alchimia tradizionale di René Alleau (Ananòr, 1989), mi fece conoscere un percorso di trasformazione, celato in una simbologia stupefacente”.
“Una traduzione che più ricordi?”.
La traduzione o meglio riscrittura che più di tutte mi ha permesso di riflettere, è stata La lingua degli uccelli di Farid Ad-Din Attar (Edizioni Mediterranee, 2002). La soave bellezza della poesia persiana, con il suo delicato misticismo contemplativo, mi ha posto di fronte all’intraducibilità di certe riflessioni orientali, se non attraverso lo sforzo di comprensione e riscrittura di immagini in grado di fare entrare in rifrazione la mentalità del lettore del secolo, riportando l’immaginazione presente alle contemplazioni del passato, annullando lo spazio tempo”.

                                              
                                                                                  ellybetta

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